Tra passato e un’imminente novità, Stefano Della Vecchia racconta le più significative svolte dell’ortodonzia linguale

Per molti giovani odontoiatri e odontotecnici appena sbarcati nel campo dell’ortodonzia, il nome di Stefano Della Vecchia e quello di OrthoSystemRoma (il laboratorio da lui fondato nel 1992) potrebbero dire ben poco. Eppure entrambi hanno rappresentato per oltre vent’anni, sia in Italia che all’estero, un importante pezzo di storia dell’affascinante quanto complessa tecnica ortodontica linguale, settore a cui ancora oggi si dedicano con passione e perseveranza, in un instancabile percorso volto alla pura ricerca della vera “ortodonzia invisibile”. Un percorso che sembra in procinto di fare un nuovo, significativo passo in avanti. Abbiamo deciso di parlarne con Stefano, e chiederlo al diretto interessato.

Stefano, innanzitutto vorresti dirci da dove è partito tutto quanto?

Tutto è iniziato a metà anni ottanta, quando l’allora Dr. (e in seguito Prof.) Giuseppe Siciliani mi prescrisse il montaggio indiretto di BKT nel versante linguale. In qualità di maggior rappresentante del gruppo del Dr. Bruno Genone – colui che, a mia memoria, per primo ha introdotto l’ortodonzia linguale in Italia – il Prof. Siciliani era ed è tutt’ora un clinico molto ricercato e con una spiccata inclinazione al perfezionismo, perciò quella richiesta ebbe su di me l’indubbio effetto di una vera e propria bomba da “ansia da prestazione”. Va detto che a quei tempi questo genere di attacchi venivano applicati con uno strumento denominato T.A.R.G., in grado di “leggere” la vestibolare degli elementi disallineati, imprimendo in una zona dello strumento dei valori con cui si poteva applicare il BKT. Soltanto in seguito, durante la fase terapeutica, il dente interessato si sarebbe mosso nella posizione desiderata sotto la spinta di un arco piatto passante per lo slot, riportando così le arcate al presunto allineamento.

Ma questo era il conosciuto sistema americano. Quali novità furono introdotte dal vostro metodo?

La prima intuizione fu di eseguire prima la programmazione di allineamento (set-up) e soltanto in seguito il posizionamento degli attacchi su un piano orizzontale (piano di montaggio) parallelo al piano occlusale, ma la novità più significativa fu sicuramente il sistema da noi sviluppato per trasferire gli attacchi dall’allineamento eseguito, alla malocclusione, per eseguire successivamente la mascherina deputata al bonding indiretto. Dicendo “noi” includo la presenza del Dr. Giuseppe Scuzzo,  collocato sicuramente tra i più alti rappresentanti clinici della tecnica e con cui sono fiero di aver ideato un sistema di montaggio che per le sue caratteristiche innovative ci ha portati in giro per il mondo. Escludendo la vasta letteratura scientifica al riguardo, questa sistema è ben documentato, con tanto di dedica al sottoscritto, nel primo libro sull’ortodonzia linguale scritto proprio dal Prof. Giuseppe Siciliani.

E dopo cosa è successo?

In seguito facemmo la conoscenza del Dr. Dirk Wiechman, che aveva sviluppato una ulteriore procedura che da specialista non esito a definire semplicemente strabiliante, l’esaltazione della tecnica dell’ortodonzia linguale! A quel punto ho capito che non ci sarebbe stato più spazio per i laboratori ortodontici di stampo tradizionale, e che questo settore per noi era destinato inevitabilmente a chiudersi. Eppure con il passare del tempo anche questa nuova procedura, sicuramente più evoluta rispetto al metodo tradizionale, ha cominciato a mostrare i suoi limiti. Nello specifico, basandosi sostanzialmente sull’utilizzo di archi sequenziali piegati da un robot, la nuova tecnica si dimostra a volte limitante per l’ortodontista operatore: l’elaborazione dell’apparecchio risultava, e ancora risulta, troppo statica e quindi difficile da modificare in corso d’opera, quando non è raro che l’operatore senta la necessità di adattare gli archi per venire incontro alle più svariate esigenze cliniche. Per questo altri validi professionisti hanno sentito l’esigenza di studiare un nuovo metodo per risolvere quello che a lungo andare si sta rivelando un fastidioso problema.

E si è arrivati ad una soluzione, vero? C’entra forse il digitale?

La soluzione c’è ma se devo essere onesto con te, Gianluca, ora non me la sento, è troppo lunga da spiegare e vorrei aspettare ancora un po’ per presentarla. Stiamo parlando di un lavoro che in sé racchiude la sfera sia ingegneristica che clinica e… no dai, alla prossima. Ti dirò tutto, ci divertiremo, sarà molto bello e appassionante, vedrai. È ritornato l’amore… per la professione.